C'era una volta, là/ dalle parti di Chissà,/ il paese dei bugiardi./ In quel paese nessuno/ diceva la verità,/ non chiamavano col suo nome/ nemmeno la cicoria:/ la bugia era obbligatoria./ Quando spuntava il sole/ c'era subito uno pronto/ a dire: "Che bel tramonto!"/ Di sera, se la luna/ faceva più chiaro/ di un faro,/ si lagnava la gente:/ "Ohibò, che notte bruna,/ non ci si vede niente"./ Se ridevi ti compativano:/ "Poveraccio, peccato,/ che gli sarà mai capitato/ di male?"/ Se piangevi: "Che tipo originale,/ sempre allegro, sempre in festa./ Deve avere i milioni nella testa"./ Chiamavano acqua il vino,/ seggiola il tavolino/ e tutte le parole/ le rovesciavano per benino./ Fare diverso non era permesso,/ ma c'erano tanto abituati/ che si capivano lo stesso. / Un giorno in quel paese/ capitò un povero ometto/ che il codice dei bugiardi/ non l'aveva mai letto,/ e senza tanti riguardi/ se ne andava intorno/ chiamando giorno il giorno/ e pera la pera,/ e non diceva una parola/ che non fosse vera. / Dall'oggi al domani/ lo fecero pigliare/ dall'acchiappacani/ e chiudere al manicomio./ "E' matto da legare:/ dice sempre la verità"./ "Ma no, ma via, ma và ..."/ "Parola d'onore:/ è un caso interessante,/ verranno da distante/ cinquecento e un professore/ per studiargli il cervello ..."/ La strana malattia/ fu descritta in trentatre puntate/ sulla "Gazzetta della bugia"./ Infine per contentare/ la curiosità popolare/ l'Uomo-che-diceva-la-verità/ fu esposto a pagamento/ nel "giardino zoo-illogico"/ (anche quel nome avevano rovesciato ...)/ in una gabbia di cemento armato./ Figurarsi la ressa./ Ma questo non interessa./ Cosa più sbalorditiva,/ la malattia si rivelò infettiva, / e un po' alla volta in tutta la città/ si diffuse il bacillo/ della verità./ Dottori, poliziotti, autorità/ tentarono il possibile/ per frenare l'epidemia./ Macché, niente da fare./ Dal più vecchio al più piccolino/ la gente ormai diceva/ pane al pane, vino al vino,/ bianco al bianco, nero al nero:/ liberò il prigioniero,/ lo elesse presidente,/ e chi non mi crede/ non ha capito niente.


(Gianni Rodari, Il paese dei bugiardi, Le favole a rovescio).

martedì 16 aprile 2013

CANI E GATTI ABUSATI PER DENARO, LA MAFIA DELLA RACCOLTA SOLDI


Di seguito la traduzione di un post pubblicato nella pagina: Tierschutz richtig verstehen
Postiamo una lettera che dà un’altra immagine della protezione animali, ognuno si faccia il suo parere: 

"Ieri ho parlato a lungo con una donna rumena sul caso L.M., ero stato avvertito dall’inizio che avrei provato molta rabbia.  La donna rumena conosce la sua gente!! E afferma che tutto questo interesse per i cani è una truffaI cani non vengono castrati intenzionalmente perché nascano sempre più cani che ... sono soldi.  i cani vengono picchiati, investiti da macchine e feriti per postare le immagini su FB! La compassione che provocano queste immagini dà uno stipendio a questi mafiosi in Romania. Un parente della donna è medico a Bucarest e le ha chiesto di quali cani randagi si parli in realtà, perché di cani randagi non ce ne sono per strada. I cani non castrati vengono tenuti in case e in cortili (come i posti di stallo in Italia?), dove figliano. Poi, vengono portati e fotografati in una zona depressa, oppure vengono feriti per attirare donazioni. Certamente esistono casi disperati, ma per il 90% sono macchinazioni di questi truffatori. I raccoglitori di cani  come L. e altri non tengono cani perché li amano ma perché i cani sono un guadagno costante. Fare presa sulla compassione paga, che siano bambini o animali. Questa zozzeria NON avrà fine fino a quando le persone ci crederanno e pagheranno! Smettete di fare donazioni, e questo schifo avrà fine! Sono parole di una rumena! 

Queste cose le devono sapere tutti, cani e gatti vengono feriti intenzionalmente, picchiati, tanto da far loro sanguinare gli occhi, vengono loro tagliate le gambe e le foto vengono postate su FB! È naturale provare compassione e donare soldi! Se solo la gente sapesse! Sono pochi i rumeni che si occupano dei trovatelli o dei randagi. Questi pochi vengono poi scambiati con gli altri, coi truffatori. Perché vi sono raccoglitori che, nonostante non abbiano i mezzi per dare da mangiare o curare un cane, li prendono dai rifugi. E ci siamo noi … per mandare soldi, medicine, cibo. 
E questi cani non vengono adottati, o in misura minima, perché questi cani fanno guadagnare!  Le donazioni non servono per i cani ma per chi li tiene e per la loro famiglia, perché qui vivono in miseria! Chi resiste a veder piangere un bambino? E se i soldi o il cibo non arrivano rapidamente – i donatori non crescono certo sugli alberi – si insulta chi ha aiutato, lo si diffama e gli si sparge fango addosso. Queste persone sono TRUFFATORI
Ho considerato il tema interessante perchè uguali informazioni mi sono state date per la Grecia  e l'Italia, quindi il problema pare essere comune a vari Paesi vittime sia dei traffici di randagi come di nessun controllo sul posto. E'ormai noto quanto sia facile raccogliere soldi con foto pietose se non raccapriccianti, sempre decontestualizzate, sempre senza alcuna documentazione che comprovi la verità del racconto attinente la vittima  e per la quale si chiedono ovviamente soldi. CONDIVIDO PIENAMENTE L'INVITO DELLA PERSONA CHE HA SCRITTO LA LETTERA, COSTRETTA ALL'ANONIMATO, PERCHE' SI RISCHIA MOLTO DENUNCIANDO QUESTA REALTA' MAFIOSA, DI NON DARE DENARO, A MENO CHE SI POSSA PERSONALMENTE VERIFICARNE L'USO. NON BISOGNA CREDERE A QUANTO PUBBLICATO IN INTERNET, MOLTI TRUFFATORI CI CAMPANO ALLA GRANDISSIMA E PER QUESTO SONO DISPOSTI A TUTTO, ANCHE  A TORTURARE INNOCENTI.
Basta leggere in fb per valutare la quantità di appelli dove si chiedono illecitamente soldi per cani e gatti "bisognosi", sempre rispettando la regola di non documentare mai nulla. Questo accade in Italia, e per le migliaia che vengono deportati, quale destino? FORSE in Italia se il cane o il gatto sono vittime di un  palese maltrattamento, può seguire una denuncia ma le migliaia che subiscono l'abuso della deportazione, che tutela hanno in paesi dove le leggi sono carenti e tutto è fatto senza nessuna trasparenza?
Il traffico di randagi è commercio fatto con la loro vendita a chiunque li comperi per qualunque uso voglia farne, quindi cosa impedisce che siano venduti a chi li usa per produrre denaro con ogni mezzo possibile? Che differenza c'è tra il venderli per uso sessuale (qui), per la sperimentazione (qui) o per essere torturati per ricchissime questue? NESSUNA DIFFERENZA, E NIENTE PUO' PROVARE CHE QUESTO NON ACCADA DATO CHE DEL DESTINO DEI RANDAGI, UNA VOLTA MOVIMENTATI, NIENTE E' DATO SAPERE.
I cani in modo particolare, proposti evidenziando stati di sofferenza ed handicap gravi, possono facilmente rendere in brevissimo tempo cifre importanti ed impensabili, tutto stà alla creatività del torturatore. Una storia ben impostata e con una certa durata nel tempo (non deve morire subito....), illustrata con foto forti (le amputazioni vanno alla grande, ma anche le ustioni fanno un grande effetto), magari supportata da un
costoso intervento o terapie importanti e costose da seguire in pubblico e col pubblico e voilà, i giochi son fatti e la vincita al casinò della truffa, garantita  e cospicua.
Il mio tono è cinico perchè credo sia necessario capire come sia routine, nessuna  empatia ovviamente con le vittime, ma solo un protocollo fabbrica soldi  che richiede assieme alla tortura, la recitazione di sentimenti "animalisti".
Un'altro elemento di condivisione della realtà denunciata nella lettera che segue e che fà pensare, è l'aumento del randagismo o in ogni caso il suo non contenimento. E' un fenomeno  attuale anche in molte regioni italiane nonostante le presunte "sterilizzazioni". Mi domando si si sterilizzi realmente o se aprire pance serva ad altro (qui).... Resta il fatto che delle associazioni sono spesso lautamente pagate per far "adottare" i cani che tradotto potrebbe essere che presunte associazioni siano pagate per togliere i cani dai piedi, per poi cederli senza problema alcuno a chi ne farà commercio. Pensavo che le associazioni NON A SCOPO DI LUCRO  dovessero dare un servizio e non essere pagate, ma sbagliavo,  è allora possibile credere che tali presunte associazioni rinuncino attraverso una reale riduzione delle nascite, ad utili di migliaia di euro?
Risolvere il problema del randagismo potrebbe corrispondere per molti presunti "animalisti"alla terrificante esperienza di dover lavorare e addirittura onestamente, per avere denaro, quindi è semplice  e logico che il problema del randagismo non debba essere risolto.
E non dimentichiamoci di questo, come uso finale del prodotto della macchina da reddito che è il randagismo: (qui)
e (qui)
e (qui)  lecito il dubbio che Fuffi, Tobia, Stellina ecc....randagini a cui portavamo la pappa tutti i giorni, siano tornati in patria in altra forma dopo "l'adozione" salvifica nel Paese straniero, realizzata con l'aiuto di " associazioni animaliste" italiane pagate per fornire vittime.
Mi auguro sia sempre più evidente che il randagismo è si un costo per i cittadini onesti, ma perchè è e deve continuare ad essere fonte di reddito per i molti TRUFFATORI pseudo"animalisti", che dai randagi, dalle loro miracolosamente redditizie disgrazie, traggono infiniti profitti.
E' importante non dare mai denaro dove non sia possibile un controllo diretto della vicenda, è ugualmente importante denunciare comportamenti non trasparenti, dove la sofferenza di esseri indifesi è in gioco e diffidare di chi li pratica, individuando in essi non i protettori degli animali ma coloro che ne abusano.
E' vietato usare cani per l'accattonaggio, ricordiamolo, e vale anche per animalisti ed associazioni animaliste quando la totale trasparenza e l'assoluta legalità non accompagni ogni loro gesto. 

Alma Galli

venerdì 12 aprile 2013

RANDAGI ITALIANI, MERCE PER COMMERCIANTI TEDESCHI


Il titolo avrebbe potuto essere: RANDAGI ITALIANI, MERCE PER ORGANIZZAZIONI ANIMALISTE TEDESCHE CON LICENZA DI COMMERCIO DI CANI E GATTI. 
Mi ricorda la storia del termine non vedente al posto della parola cieco, fà bello ma la sostanza è che non vede. Non amo i termini che vorrebbero abbellire o rendere meno tragica la realtà, li trovo volgari, forse perchè cerco la soluzione del problema accettandolo per quello che è, e la crudezza e semplicità delle parole, aiuta. Aiuta a non perdersi, ad evitare dubbi, aiuta a non illudersi sull'orrore che le persone possono praticare.
Considero per questo assurdo ed irrispettoso dei fatti il titolo "bello" usando i termini "organizzazione animalista" e ne dico il motivo. In Italia non esiste che un'associazione animalista abbia la licenza di commercio per cani e gatti perchè in tal caso sarebbe non un'associazione animalista, ma un commerciante di animali. 
Dato che siamo in Italia, vigono le nostre leggi ed in base a queste dobbiamo valutare le situazioni in cui si fà commercio dei nostri randagi. Per queste chi ha licenza di commercio e  produce un utile dalla vendita di randagi, è a tutti gli effetti un COMMERCIANTE DI ANIMALI, quindi: RANDAGI ITALIANI, MERCE PER COMMERCIANTI TEDESCHI.

Per maggiore chiarezza della sentenza che tradotta, pubblico,riprendo parte di un articolo precedente sul tema:
Sul tema molto discusso della protezione animale effettuata all'estero  e del problema  delle importazioni di massa degli animali dagli altri paesi europei attraverso le organizzazioni animaliste, alla base ci si pone una domanda giuridica:  queste importazioni sono da considerare commercio o no? Poichè allo status di commercio sono collegati una miriade di altri aspetti  che sarebbero utili per un miglior controllo dei trasporti stessi.   Tre importanti sentenze delle ultime settimane confermano quanto gli osservatori sostengono da  lungo tempo: le associazioni animaliste che importano animali, fanno commercio.

Tribunale di Schleswig:  Animalisti e ed osservatori critici della protezione animale, hanno atteso a lungo la sentenza. Nel marzo 2010 una grande organizzazione animalista, (il denunciante) aveva presentato  una denuncia presso la procura di Schleswig. Il  17 agosto 2011 c'è stata la sentenza. Il denunciante  affermava che la sua attività non rientrava  nè nella direttiva 1/2005 ( condizioni di trasporto) nè era applicabile il paragrafo 4 della direttiva EU sulle zoonosi e che  questa attività non era neppure  soggetta a licenza ai sensi dell'articolo 11 comma 1 frase 1, numero 3b sulla Protezione Animali Tedesca . La denuncia è stata archiviata.  I querelanti devono pagare le spese.

E' commercio indipendentemente dal profittoIn tutte le discussione relative allo status di commercio, gli animalisti hanno sempre usato la scusa che la loro attività non produce reddito per giustificare la tesi che non è praticata a scopo di lucro.  Il tribunale di Schleswig  però dissocia l'elemento del guadagno da quello di commercio. Valuta quindi  separatamente lo status di commercio applicandolo  alla protezione animale e conferma tale attività come commerciale  anche quando non sussiste guadagno : " è necessario ma anche sufficiente che sussista un'attività autonoma duratura e pianificata, requisiti questi  caratteristici ed importanti della protezione animale, per la cui attività viene richiesto un compenso  eccessivo " in diversi punti della sentenza è fatto riferimento alle finalità commerciali degli animalisti.
Animalisti  che importano animali sono considerati appartenenti alla stessa categoria dei commercianti di cani e  degli allevatori.."l'accusante è  in concorrenza in questo modo, attraverso la cessione previo pagamento dei cani, con altre organizzazioni animaliste così come con allevatori e commercianti (...)"

Nuove opportunità: Sin'ora non si riesce ancora a valutare completamente l'importanza di questa sentenza contro cui l'accusante può fare ricorso. Dopo questa sentenza non ancora esecutiva,  tutte le importazioni di animali fatte da organizzazioni animaliste sono da considerare vera attività commerciale per cui sono da applicare (sono soggette) sia al paragrafo 4 della legge sulle zoonosi, sia alla direttiva EU 1/5 sul commercio. Queste importazioni commerciali con animali devono avere la licenza secondo il parag. 11 della legge sulla protezione animali tedesca. In particolar modo per la validità della direttiva sulle zoonosi nelle EU c'è un'altro criterio importante da rispettare e che renderebbe felici le richieste fatte da anni da parte di chi critica gli animalisti: il parag. 5 della legge sulle zoonosi impone la tenuta di un registro sugli animali importati e la loro destinazione. Nel registro devono essere indicati il giorno della cessione degli animali e il nome e l'indirizzo del riceventeQuesta documentazione che è la prova  della reale destinazione degli animali, deve essere presentata su richiesta alle autorità di competenza(asl veterinaria).In questo modo le autorità potrebbero esercitare un controllo e chiarire i dubbi di molte persone attente al destino degli animali importati dall'estero sul fatto che un numero elevato di questi sia destinato ai laboratori di vivisezione. Molti di coloro che criticano la protezione animali tedesca dedita all'importazione di animali d'affezione,  ritengono che l'obbligo della tenuta del registro delle presenze, sia  il vero motivo per cui la protezione animale ha cercato con  tanta insistenza di non far adottare la legge sulla protezione dalle zoonosi. 


Chiarimenti importanti:  la sentenza di circa 20 pagine è una miniera di fatti con le relative valutazioni legali. Tra questi c'è anche la valutazione della cosiddetta tassa protezione animali, per cui chi prende un cane arrivato dall'estero, deve pagare all'organizzazione animalista senza però avere i diritti della proprietà dell'animale. L'associazione animalista denunciante menziona  il procedimento di Schleswig  "gli incassi della tassa della protezione animale (...) servono di (..) in parte a permettere l'attività dell'associazione in altri ambiti e non solo a coprire le spese per l'animale portato in Germania, cosa  comprensibile, e che giustifica l'importo della tassa."  Nel caso in questione si tratta di 270 euro.  A differenza di ciò che dicono molti animalisti qui è dimostrato che con una tassa per la protezione animale di 270 euro, c'è comunque la finalità del  guadagno. Quest'aspetto è importante nella valutazione del lavoro della "protezione animale"  cioè di quelle organizzazioni che strutturano altre attività e progetti solo sull'importazione di animali.

LA SENTENZA
La pubblico perchè possa essere di ulteriore chiarimento al fatto che le organizzazioni animaliste tedesche praticano con la vendita dei nostri randagi, COMMERCIO. I nostri animali NON POSSONO ESSERE OGGETTO DI ATTIVITA' COMMERCIALE e dato che si parla di randagi, ovvero di animali tutelati, mantenuti ed accuditi con denaro pubblico, quali reati implica questa situazione? Che si possa forse parlare anche di truffa oltre che di traffici di animali?
Invito ad una particolare attenzione al tema del REGISTRO suddetto, che richiede NOME E INDIRIZZO DEL RICEVENTE, cioè indica a chi il commerciante ha venduto gli animali deportati. Tutti i traffici di randagi si basano sulla negazione di questi dati. Noi mafiosi, maltrattatori italiani, dobbiamo essere contenti di qualche foto, il resto è privacy. Naturalmente tutto coi nostri soldi, a noi le spese, a loro, "organizzazioni animaliste con licenza di commercio di vertebrati"(sic!), gli utili e soprattutto la volontà sempre tristemente confermata, che nessuna trasparenza sia dovuta
Mi auguro che questa sentenza sia allegata a molte denunce per traffico di randagi italiani che, incredibile ma vero, NON SONO MERCE.

Nella sentenza che segue, ricorrente è l'associazione, convenuta è l'organo che rappresenta la legge, che chiede conto.
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO DELLO SCHLESWIG-HOLSTEIN

SENTENZA (QUI)

Parti in causa rese anonime [N.d.T.]

Oggetto della causa: legge sulla protezione degli animali

La 1a sezione del Tribunale amministrativo dello Schleswig-Holstein, nell’udienza verbale del 17 agosto 2011 ha deciso di:

respingere il ricorso.

[omissis]

È concesso appello.
Esposizione dei fatti

La ricorrente afferma che alla propria attività non è applicabile il regolamento (CE) n. 1/2005 e § 4 della legge sulla protezione dalle epidemie animali nel mercato interno (BmTierSSchV) e che la propria attività non è soggetta ad autorizzazione ai sensi dell'§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSchG.

La ricorrente è un’associazione no-profit registrata con sede nello Schleswig-Holstein. Oggetto dell’associazione, secondo l’§ 2 n. dello statuto, è promuovere il benessere degli animali e agire per la loro protezione. L’§ 3 dello statuto della ricorrente stabilisce: “L’associazione persegue esclusivamente scopi umanitari […]. L’associazione opera a titolo di volontariato. Non persegue scopi commerciali. I beni dell'associazione possono essere usati solo per perseguire quanto stabilito nello statuto. È vietato retribuire persone per attività non rientranti nello statuto o elargire retribuzioni elevate".

L’associazione raccoglie cani da associazioni animaliste, organizzazioni per la protezione degli animali o persone attive nella protezione degli animali dall’estero europeo (in particolare dall’Ungheria) e li distribuisce a centri di accoglienza o proprietari di cani in Germania. Il campo di attività della ricorrente si estende anche al garantire cure veterinarie sufficienti per gli animali raccolti, quali vaccinazioni, raccolta e alimentazione di randagi, trasporto e supporto degli accompagnatori durante i viaggi. L'associazione è supportata dai contributi dei soci e da donazioni. Per la consegna di cani, dal 2007, è stata introdotta una richiesta di euro 250,00.; attualmente tale contributo è di circa euro 270,00 laddove, per i cani difficilmente collocabili, questo contributo viene annullato o ridotto, secondo il caso. La ricorrente stipula contratti di tutela per cane consegnato che conferiscono un diritto di affidamento ma non di proprietà. I cani vengono consegnati ai nuovi proprietari mediante trasporti collettivi ai vari luoghi di residenza. Secondo quanto indicato sul sito internet della ricorrente, il numero di cani consegnati al 16 agosto 2011 è stato di 1617 cani, mentre quelli ancora da affidare sono 484 cani.

Il 7 gennaio 2009, la convenuta ha scritto circolare alle autorità veterinarie della circoscrizione e delle città dello Schleswig-Holstein segnalando che la raccolta autorizzata / importazione di animali domestici in Germania non rientra nelle condizioni facilitate del regolamento (CE) n. 998/2003 ma nelle regolamentazioni più rigide delle norme sul COMMERCIO DI ANIMALI

Le norme facilitate possono essere applicate solo ad animali di provenienza nota con stato di salute noto e solo alle persone fisiche. Inoltre, è da applicare l’obbligo di segnalazione e di registrazione ai sensi dell’§ 4 B,TierSchV. Il trasporto di cuccioli non vaccinati dai paesi UE è ammesso solo nell'ambito di viaggi turistici mentre, dati gli scopi indicati, è concesso solo il trasporto di cani con antirabbica valida. Nei trasporti collettivi della ricorrente, sarebbero stati trasportati 39 cani dall’Ungheria alla Germania e almeno 1 cane di questi non era in regola con le vaccinazioni e in buone condizioni di salute.

In riferimento alla circolare, la ricorrente, con lettera dell’avvocato del 19 gennaio 2009,  ha chiesto alla convenuta di confermare che le norme commerciali non erano applicabili alla fattispecie. La motivazione era che le norme ritenute applicabili secondo il parere della convenuta presuppongono un commercio professionale, il quale non sussiste nella fattispecie, trattandosi di associazione no-profit con perdite annuali coperte dai contributi e dalle donazioni dei soci.

La convenuta, con lettera del 3 febbraio 2010, rispondeva alla ricorrente che l’attività della ricorrente era costituita da importazione di animali dall’estero alla Germania a scopo di cessione a terzi dietro il pagamento di un prezzo e pertanto, indipendentemente dal fatto che vi fosse scopo di lucro, doveva essere considerata come attività commerciale. Si trattava di un’offerta in concorrenza con altre attività che perseguivano lo stesso scopo. La ricorrente importava miratamente animali per la loro cessione (dietro compenso) a terzi offrendo quindi merci su un determinato mercato. Questa attività non differisce da quella di allevatore o commerciante che sono indubbiamente attività commerciali, perché si tratta di approvvigionamento (acquisto o allevamento) di animali e la loro cessione dietro compenso (vendita, commercio). Inoltre la ricorrente è soggetta a un obbligo di autorizzazione ai sensi dell’§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSschG. Il concetto di “professionale” non modifica nulla perché il diritto europeo considera come trasferimento anche la mera offerta di una merce o di un servizio. L’utilizzo del criterio di scopo di lucro ha puro carattere dichiarativoPoiché è applicabile il regolamento (CE) n. 1/2005, l’azienda di trasporti deve essere autorizzata e il conducente e gli accompagnatori devono disporre delle conoscenze necessarie.

La ricorrente ha presentato opposizione in data 8 marzo 2010.

[omissis]

La ricorrente non è obbligata a richiedere un'autorizzazione ai sensi dell’§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSchG perché non è ancora stato emesso parere dal tribunale supremo e quindi la situazione giuridica non è chiara. Per questo motivo, non è obbligata ad osservare il regolamento (CE) n. 1/2005 e adempiere all’obbligo di segnalazione e registrazione ai sensi dell’§ 4 BmTierSSchV. All’obbligo di registrazione sono collegati ulteriori obblighi, in particolare relativi all’§ 5 BmTierSSchV. Poiché la violazione alle leggi citate dalla convenuta sono punibili con sanzioni amministrative, si sarebbe in presenza di un interesse personale all’accertamento. Essa ha segnalato la sua attività ai sensi dell’§ 4 BmTierSSchV per poter continuare a svolgerla. La segnalazione non è stata effettuata alle autorità competenti e non è stato assegnato un numero di registrazione. La registrazione non è obbligatoria se l'§ 4 BmTierSSchV non è pertinente e data la non sussistenza dell’attività commerciale e per assenza dello scopo di lucro l’attività non è soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSchG.

Il regolamento (CE) N. 1/2005 non si applica al trasporto di animali non condotto in collegamento a un'attività commerciale. Secondo il concetto giuridico EhGH espresso dalla convenuta secondo il quale il concetto di azienda richiederebbe un’attività commerciale, ai sensi delle leggi sulle sovvenzioni dell’art. 87 e seg. EGV, secondo le quali il concetto di azienda implica un’attività commerciale, secondo tali leggi un’attività commerciale sarebbe qualsiasi attività che consiste nell’offrire merci o servizi su un determinato mercato. Questa definizione si riferisce al concetto di attività commerciale nell'ambito delle leggi sulle sovvenzioni e non può essere trasferito indistintamente e senza differenziazione al concetto di attività commerciale. Inoltre, un’attività commerciale, anche secondo l’intendimento dell’EuGH sulle leggi sulle sovvenzioni, implica che l’azienda opera a fini di lucro. Le associazioni caritatevoli non rientrano in questo concetto. Lo scopo di lucro viene perseguito solo se viene perseguito un reddito a beneficio diretto dei soci o dei membri.
[…]

Non è dato neanche il commercio professionale di animali ai sensi dell’§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSchG perché non sussiste commercio poiché questo presupporrebbe l’acquisto di merci e la loro successiva vendita. La ricorrente non acquista cani per venderli. Anche in riferimento a questa norma di legge manca il requisito dello scopo di lucro. L’§ 11 TierSchG è un articolo di legge nazionale e quindi le sue caratteristiche non possono essere applicate alla versione europea.

La ricorrente chiede di

stabilire che al trasporto o all’ordine di trasporto all’interno dell’Unione europea di cani in Germania e la loro intermediazione a ricoveri o proprietari di cani non vengano applicate le leggi sul commercio di animali o sul trasporto a fini commerciali o sul trasporto di animali in connessione a un’attività commerciale di cui al regolamento (CE) 1/2005 e § 4 della legge sulla protezione dalle epidemie animali (BmTierSSchV)

nonché

di stabilire che il trasportare o il far trasportare cani all’interno dell’Unione europea e la loro intermediazione da parte della ricorrente a ricoveri o proprietari di cani in Germania non richiede autorizzazione ai sensi dell’§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSchG.

La convenuta chiede

di respingere il ricorso

con la motivazione che la ricorrente ha segnalato la propria attività ai sensi dell’§ 4 BmTierSSchV alle autorità competenti. Il ricorso non è ammissibile perché la ricorrente non può rivendicare il fatto di non essere soggetta all’osservanza degli obblighi di cui all’§ 4 BmTierSSchV.

Dopo essersi verificate divergenze sui cani trasportati, la convenuta ha informato la ricorrente che alla stessa non sono applicabili le norme agevolate per l’importazioni di cani ai sensi del regolamento (CE) n. 998/2003, ma quelle più rigide per il traffico commerciale. Un’attività commerciale ai sensi dell’art. 1 cpv. 5 del regolamento (CE) n. 1/2005 non presuppone che un’azienda operi a scopo di acquisto. Si è data maggiore importanza al fatto che l'offerta è in concorrenza con le altre associazioni presenti sul mercato che perseguono lo stesso scopo. In questo caso, è irrilevante che le merci vengano offerte a scopo di lucro o meno. La ricorrente è in concorrenza con altri offerenti sul mercato, perlomeno il contributo richiesto presenta circa lo stesso importo, dato di fatto pubblicato su Internet o nelle inserzioni private.

Ai sensi dell’§ 4 BmTierSchV, anche solo l’ambito della cessione di animali conferma l'attività professionale. La ricorrente contesta affermando che il contributo non copre le spese sostenute per i cani. Secondo quanto indicato dalla ricorrente relativamente alla propria pagina Internet, il denaro serve per supportare progetti in Ungheria. Questi possono essere realizzati solo se la ricorrente ottiene un guadagnoPer lo scopo di lucro è sufficiente il perseguimento di uno scopo umanitario con un surplus. La situazione finanziaria effettiva della ricorrente è irrilevante ai fini della valutazione dell'esistenza dello scopo di lucro. La registrazione è stata effettuata perché la ricorrente opera professionalmente. Anche se non si supponesse un’attività professionale, l’attività sarebbe regolata comunque dalla BmTierSSchV. Ai sensi dell’art. 1 del regolamento UR n. 388/2010 i requisiti e i controlli ai sensi dell’art. 12 cpv. 1 b) del regolamento (CE) n. 998/2003 per il trasporto degli animali domestici elencati nell'allegato I parti A e B si applicano per il numero totale di animali trasportati da uno stato membro o un paese elencato nell'allegato II parte B sezione B del regolamento citato. La ricorrente ha sempre importato più di cinque cani in Germania.

L’attività della ricorrente è commercio ai sensi dell’§ 11 cpv. 1 pag. 1 n. 3 b) TierSchG. L’obbligo di autorizzazione si estende anche sulle persone che fanno intermediazione con cani stranieri e li collocano direttamente presso proprietari tedeschi. 
Di base, è problematico definire la professionalità nell'ambito della protezione degli animali e della lotta alle epidemie degli animali dallo scopo di lucro. Attualmente, si parla a livello federale di introdurre un concetto di "professionale" orientato al concetto e al fine della legge sulla protezione degli animali e sulla prevenzione delle epidemie animali e anziché lo scopo di lucro un’attività ricompensata.

Per gli ulteriori dettagli della causa e le testimonianze delle parti in causa, fare riferimento agli atti processuali e ai ricorsi dei rispettivi avvocati.

 MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Il ricorso è ammesso.


Alma Galli

mercoledì 3 aprile 2013

GERMANIA: EUTANASIE FACILI E FAI DA TE

Pubblico la traduzione di due articoli della giornalista Karin Burger.
Da tempo si batte, non senza subirne pesanti conseguenze,  per una reale tutela degli animali, denunciando verità spesso censurate dai molti che  hanno interessi personali ben lontani dalla protezione animali, pur definendosi in modo assolutamente arbitrario quanto inappropriato "animalisti".
Quanto segue dovrebbe far riflettere chi parla di Paesi come Germania, Austria, Svizzera ecc. quali paradisi dove è legittimo deportare e vendere i nostri randagi, a chi non è mai dato sapere.
Come onesti cittadini italiani, non ci viene infatti riconosciuto alcun diritto in merito all'informazione sul reale destino dei disgraziati deportati, noi dobbiamo pagare per mantenere il sistema che dovrebbe avere il compito di garantire nel rispetto delle nostre leggi, la tutela dei cani e dei gatti randagi. Dobbiamo pagare e basta. Pagare senza fiatare,  per  cure e mantenimento per il tempo di permanenza in una struttura, pagare per sterilizzazione, vaccinazione, analisi fatte per prepararli alla deportazione, cedendoli  poi a chi reiteratamente da anni ci diffama. Naturalmente dobbiamo essere anche felici e grati della qualifica di maltrattatori accaniti, mafiosi, bisognosi dell'altrui carità, e gioire della vendita delle vittime il cui guadagno và direttamente nelle tasche dei "salvatori".
La logica in questo percorso dov'è?Perchè mai il denaro della vendita non viene dato a chi in Italia ha sostenuto tutte le spese? Perchè non dobbiamo sapere a chi siano ceduti i nostri animali? Sono deportati e venduti molti animali malati, vecchi e/o con gravi patologie, che fine fanno?  Chi autorizza la deportazione di animali sofferenti? Perchè i soldi dei cittadini italiani che dovrebbero servire a salvare dalla sofferenza, servono invece a nutrire un simile mercato?Perchè come cittadini italiani non abbiamo alcun diritto d'informazione?
LA TRASPARENZA DOV'E'? EUTANASIA ANCHE PER LEI COME PER GLI ANIMALI DELLE DENUNCE CHE SEGUONO?
Sindaci, ASL, "associazioni animaliste", sono i maggiori responsabili di questo illecito, bisogna chiederne conto denunciando chi  manda i nostri randagi in Paesi dove le leggi, diverse dalle nostre, non garantiscono uguale tutela. Facciamolo in tanti, senza timore. Chiediamo conto dei nostri animali se li rispettiamo, chiediamo conto dei nostri soldi se ci rispettiamo, chiediamo conto a chi lavora per noi cittadini, di un operato irriguardoso  delle parti che dovrebbero tutelare (gli animali),  e rappresentare (i cittadini),  autorizzando con le deportazioni anche il racconto furbescamente manipolato della realtà così che diventi l'alibi necessario per supportarle, alibi creato con la diffamazione accanita, brutale e reiterata dell'Italia e degli italiani, praticata da gruppi presunti animalisti tedeschi/austriaci/svizzeri, che  COMMERCIANO IN VERTEBRATI .



AUA 944 Associazione Animalista di MOERS: quando la siringa per l'eutanasia è usata senza criterio.
Uwe Holtz, osservatrice e critica delle attività dell'associazione animalista di Moers, a metà mese ha riportato su Facebook i fatti riguardanti due eutanasie di questa associazione, che ci lasciano allibiti.

Gatto di proprietà chippato, soppresso
Holtz dispone della documentazione sui casi riportati. L’associazione stessa non ne fa mistero.  
Il primo caso riportato da Holtz si è verificato nel novembre 2008 e non è imputabile alla dirigenza dell’associazione: una proprietaria preoccupata ha portato un gatto trovatello al rifugio. Il gatto è stato soppresso già il giorno seguente per sospetto di FIP. I controlli preliminari sono stati talmente “attenti” che non è neanche stato rilevato e letto il chip.  

Shit happens?
I proprietari del gatto hanno appreso del triste destino del loro amato ma non sono riusciti ad avere una posizione del presidente dell’associazione fino al gennaio 2009 su quanto era incredibilmente successo. Non nega l'eutanasia ma mormora parole del tipo “shit happens“ e promette, per il futuro di “evitare questi errori o almeno minimizzarli”. Minimizzarli?  
Il presidente dell’associazione contatta i proprietari del gatto offrendo loro “un altro gattino”, con una facilitazione: “Ve lo diamo gratuitamente”.

Un Getöteter Kleinterrier steht nicht gut zu Gesicht
DerWesten 2009 riporta di un altro gatto tenuto a pensione, non sopravvissuto al rifugio di Moers.  
Dalla fine del 2012, la morte di Willie ha causato parecchie critiche al rifugio di Moers. Willie è stato soppresso(ucciso) nonostante l’esistenza di un’offerta di adozione dopo aver morsicato la coda a un bassotto che passava dalla sua gabbia. Holtz descrive i fatti sulla sua pagina Facebook.  
Il giornale locale Rheinische Post riporta questa uccisione e la conseguente denuncia penale.
Il nuovo presidente dell’associazione si riserva di commentare questa prova di incapacità.  L’ammissione riportata da rp riporta: un tale incidente non è favorevole all'immagine di un'associazione animalista, dichiara Paßlack al giornale.
Uwe Holtz commenta così:Ha ragione Rolf-P. P. ad affermare che un tale fatto non è favorevole all’immagine di un’associazione animalista. Particolarmente non è favorevole al povero Willie. Perché Willie ora è morto. Quali amici degli animali ci si sarebbe aspettati una spiegazione o delle scuse, che però non sono arrivate.


Nella traduzione che segue ho preferito il termine uccisione a quello di soppressione, per come sono denunciati i fatti.
Aua 945: Veterinari che insegnano a uccidere nei rifugi per animali randagi
Alla presente redazione è nota una denuncia penale contro un rifugio per animali randagi del quale non può essere comunicato il nome. Le prove allegate alla denuncia e le testimonianze sono sufficientemente sostanziali da consentire una nostra comunicazione in merito.

[…]

DN riporta questo caso perché non è un caso isolato! […] L’eutanasia, anche di animali sani, non è nè l’ultima nè la  necessaria soluzione ma si preferisce buttarsi a capofitto nella prossima "azione di salvataggio" senza senso. Anche rifugi appartenenti al Deutschen Tierschutzbundes e.V. (associazione animalista tedesca) sarebbero coinvolti in importazioni illegali di gatti dalla Francia.

Anche la Aua 944 e i casi riportati rendono chiaro che l’eutanasia di animali sani nei rifugi tedeschi non è possibile, nella maggioranza dei casi, senza l’intervento di un veterinario. E ciò che rende tanto spettacolari i casi citati è proprio la partecipazione di un veterinario.

Con riserva della limitazione che i dati presenti nella denuncia penale in nostro possesso siano esatti, un'altra caratteristica di queste uccisioni sembra essere il commercio comunitario di diverse associazioni coinvolte. È spaventoso il numero di persone coinvolte, anche se si tratta per lo più di dipendenti. La paura di perdere un posto di lavoro può forse essere un'argomentazione a discolpa?

T61 a libera disposizione
T61 è un farmaco per l’eutanasia rifiutato dalla maggior parte degli animalisti e dei veterinari (Aua128). Nel caso in questione, questo farmaco è stato consegnato al gestore di un rifugio per randagi. In precedenza, il veterinario responsabile ha mostrato ai dipendenti come sopprimere (uccidere) i gatti.  
Perché chiunque abbia voglia di uccidere abbia libero accesso a questo farmaco, questo viene conservato in un armadio della cucina.
La prima uccisione non svolta e non controllata dal veterinario da parte di un dipendente, come riporta la denuncia penale, non ha avuto un esito positivo: „[…] l’animale è arrivato alla morte soffrendo pene d’inferno“.

Post-it per le uccisioni in ufficio
La denuncia penale riporta che, nell’agosto 2012, il veterinario summenzionato ha consegnato all’esercente del rifugio un ulteriore mezzo di eutanasia. L’esercente ha poi comunicato ai propri dipendenti che lo avrebbe tenuto in casa. Questo mezzo è stato successivamente utilizzato per l'uccisione di un cucciolo di gatto.
Perché l’uccisione di animali non venga dimenticata nel tran tran quotidiano, la denuncia penale riporta di un post-it nell’ufficio dell’esercente di uccidere il gatto Sowieso mercoledì ore 9.
La denuncia penale è stata spedita in copia all’ordine provinciale dei veterinari, all’associazione federale dei veterinari e all’associazione veterinaria per la protezione degli animali. Bene, bene. Però finché la procura non procede all’accusa e non è disponibile la sentenza, queste associazioni potranno fare ben poco.   
Ciò che preoccupa maggiormente gli animalisti che hanno reso pubblici tali eventi, è il fatto che il rifugio è sovvenzionato da un comune e che altri comuni desiderano collaborare con questo rifugio assassino.  
Questa preoccupazione rimane perché, per motivi giuridici, fino a quando non è stata pubblicata sentenza, questa accusa non può essere pubblicata.  

Alma Galli